lunedì 11 febbraio 2013

21:37

Ci sono momenti, anche di pochi secondi, in cui ti sembra tutto chiaro, in cui la nebbia si dirada e tutto sembra quadrare all'improvviso. Ti senti bene, sospeso senza più legami e senza paure. E stai bene proprio perché nn ti preoccuppi di essere, non ne hai bisogno. Poi all'improvviso tutto crolla e quel peso dimenticato torna a schiacciarti inesorabile. E di nuovo a doversi vestire di quell'incanto apparente, a coprire l'immenso vuoto di chi, non sa nemmeno chi né cosa è... Se non per brevi istanti, a volte pochi secondi

martedì 29 gennaio 2013

Donne che ho amato ma che avrei voluto amare - 4


3:15

Mi sono riletto un pò il blog ultimamente. Leggere il proprio passato è per certi versi disarmante. Per me poi, che sovente scrivo di getto e senza uno scopo preciso, è come riscoprirsi. Non sempre mi riconosco in ciò che ho scritto e tante volte lo stupore mi sorprende, come se non potessi essere stato io a scrivere. E mi chiedo che idea si possa fare di me un lettore che arriva e, per chissà quale motivo, si legge tutto d'un fiato questo mio diario. Quante sfumature può riuscire a scorgere fra le mie parole? Perché questa è una parte di me, io non sono certo ciò che scrivo qui. Ma a ben vedere un occhio attento può scorgere molto di più, può sbirciare dietro il sipario, e chissà che cosa mai potrà vedere. Io stesso mi trovo in difficoltà, pur guardando da una posizione privilegiata mi rendo conto di non poter comunque avere una visione di me stesso completa, e allora figuriamoci.
Ho deciso, comincerò una serie di post autodescrittivi nei prossimi giorni. Seriali e a puntate, come "Donne che ho amato ma che avrei voluto amare", serie di post che mi piacevano molto anche se si sono fermati a 3, magari continuerò anche quelli. Chissà perché io, che non ho mai stimato le inquadrature a fuoco, sento il desiderio di mettermi a fuoco proprio ora. Non mi capacito, ma mi butterò ancora una volta dentro il mio vuoto e proverò a vedere.
Ci sono sempre molte domande, poche risolte, molte sempre uguali e sospese, alcune nuove. Per le risposte... beh quelle contano poco in fondo... ne ho sempre fatto a meno, posso benissimo continuare ancora e prendermi il lusso di non preoccuparmi troppo.

venerdì 25 gennaio 2013

...

Una musica. Ecco cos'è.
Un ritmo che nasce dal buio profondo, dal silenzio.
Lo capisci subito, fin dalle prime righe. Intuisci che c'è qualcosa di diverso dal solito. Qualcosa che silenziosamente ti parla ed è indipendente da ciò che stai leggendo.
Se ne distacca come un figlio dalla madre e del suo vagito ti fa subito dono.
E' allora che comincia a lacerarti la pelle.
Prima con piccole saette, come ad assaggiare il sapore del tuo sangue. Casualmente.
Poi con fendenti sempre più mirati, sempre più ritmici.
Incalzanti come tamburi dalla voce grossa e minacciosa.
Le vertigini a salire e capovolgere.
Ti toglie il respiro come il più degno degli orgasmi, con la stessa sua purezza.
Un orgasmo denso e malinconico, rabbioso e feroce.
Di fulgida bellezza e contemplato ardore.
E' allora che senza forze ti lasci cadere.
Perché non hai più via di scampo, manca il respiro, manca il sangue dalle vene.
E ti riconosci nudo, insieme alla tua inconsistenza, in tutta la meraviglia dell'orrore più scuro.
Tremano le gambe, si reclina il capo stordito all'indietro,
e finalmente puoi ascoltare il suo canto.
Una voce sottile, di candido tulle vestita
ma con la potenza dei lampi e dei tuoni riempita.

E' un viaggio.
E' un cantico.
Una preghiera.
Di miserie e miserabili.
Di meraviglie e luccicanti debolezze.
Di bambole rotte e donne meravigliosamente abbaglianti.
E' un fiume in piena che ti travolge e ti lascia muto.
Che solo il silenzio può esserne spettatore degno e desiderabile.
E' potenza allo stato puro e purezza potente.
E' dolce come il canto di una sirena sgraziata,
come l'urlo angosciante delle anime ritrovate.
E' un corpo nudo con le braccia al cielo.
E' vita e morte, e amore in tutta la sua forza distruttrice.
E' un cerchio, rotondo.
E' odore di pioggia e sangue raffermo.
E' un lampo che toglie dalle ossa la carne.

E' un libro.
Ed io l'ho amato dal primo momento in cui l'ho aperto.
Ho letto le prime righe. L'ho accarezzato.
Ho respirato forte l'odore di pesca e di agrumi. Di fumo denso.
E mi sono perso.
In silenzio.
Abbandonato a me stesso,
come di fronte ad uno specchio nudo.
In silenzio.

Céline




Spero mi vorrà perdonare Madame, per queste mie sconsiderate parole.

lunedì 14 gennaio 2013

17:35

Preferisco un bel grigio.

Stasera, come ogni sera, potrò osservare mille colori. Tornerò con gli occhi che fanno male. Viviamo un tempo pieno di colori sgargianti, particolari luminosi, tatuaggi sempre più vivi (spesso molto più di chi li indossa). Un'atmosfera bucolica, festaiola e casinista nonostante tutto, col sorriso sempre pronto e se non è pronto scappo un attimo in bagno e vedrai quando esco.
Si fugge dalla monotonia buttandosi a capofitto nella banalità di frasi ripetute mille e mille volte. Copioni ripetuti alla perfezione fino allo sfinimento. Persino gli approcci si sono standardizzati. Prescindono dalla persona a cui sono rivolti. Vige la legge della probabilità, se provo con 100 almeno una ci cascherà! E la "qualità" va a farsi fottere. Roba che se provi a spezzare il copione con una osservazione diversa, magari un minimo "intelligente" ma nemmeno tanto, inerente al momento basta e avanza, rischi di diventare il guru de noartri.

Preferisco un bel grigio, una tazza di the, un silenzio imbarazzato, uno sguardo attento, un sospiro furtivo, la noia.  Perché la noia serve, è necessaria e indispensabile oltre che meravigliosa.

Preferisco un bel grigio.

domenica 13 gennaio 2013

06:09

Troppi caffé. L'adrenalina del lavoro non ancora smaltita. Il karkadé a seccarmi il palato ed inebriarmi le narici. Uno sguardo alla posta, fingendo di avere mille fogli polverosi da smistare invece che un freddo e ordinato schermo.
Sono stanco a la schiena mi duole. La inarco contro lo schienale nel tentativo di darmi sollievo, stendo le gambe per facilitare la corsa del sangue verso il cervello. Resto così, sospeso fra la fatica di un giorno passato e le memorie di un giorno futuro. Il tempo si inarca con me, con la mia figura, si piega sdoppiandosi in un ovale imperfetto.
E' il tuo odore questo, lo riconosco. Di rugiada coperta la pelle, della luna i riflessi d'argento. Non tutti sono in grado di sentirlo, è sottile come la materia invisibile, facile confonderlo col nulla. Ma come l'uomo saggio sospetta, il nulla è solo la parte nascosta. Così se tendo all'infinito le narici, del coriandolo mi torna memoria, dello zucchero bruno posso contare i cristalli. Il muschio invernale, coperto di neve, la terra che punge e bagna le vene, le note dolciastre del miele di castagno e le more d'agosto in alto nel cielo. L'erba d'altura scaldata dal sole.
Mi stringo nella mano, tortura sublime, non cerco redenzione ma desiderio che tende.
Non vedo il tuo seno, di zucchero a velo, ma ne sento sul viso e fra le labbra, le forme generose protendersi in gloria. Piccole mani, a disegnare il buio, la luce fioca di una candela.
Nervi si tendono, muscoli si stirano,  all'orizzonte risuona il mare, la luna a spingere la marea che incalza. La tua pelle di seta, candido ardore. I fianchi rotondi e le gambe piegate. Oscena madonna, vergine tentatrice, della tua anima mi voglio nutrire, con il tuo corpo mi voglio vestire.
Mi stringo più forte, che il dolore m'é dolce, purifica il cuore e vaporizza i pensieri.
Sento la musica prima lontana, farsi più prossima rapidamente.
Capelli di corvo, la sabbia sui piedi, l'odore salmastro della risacca. Il ritmo serrato di una marcia trionfale. Mio dolce sospiro, mio ultimo respiro, ti porterò con me in questa mattina scellerata.

Adesso ho sonno, è tempo di dormire. Buonanotte.

venerdì 11 gennaio 2013

5:04

2:49

Una tazza di The nero fumante mi solletica le narici. Odore di terra e mare si mescolano a quello della fatica e dell'ardire.

Vorrei assistere più spesso allo spettacolo di due guance che arrossiscono pudiche ed innocenti. E' una meraviglia sempre più rara da osservare, ma a volte capita, ed è allora che improvvisamente si risveglia la speranza in me sopita.

Vorrei incontrare meno presunzione. Dio solo sa quanto sia immondo presumere eppure... eppure è così facile cadere. Così frequente quest'abominio che annebbia la mente, ma che si piega così docilmente alla luce dell'amore da lasciarti indifeso e tremante come un bambino spaurito.

Vorrei che tutti capissero che la vera libertà è nella condivisione. Vorrei capirlo anche io. Capire che il mondo, noi tutti, siamo come un'immenso coro di voci dissonanti. E cosa succederebbe se un coro così immenso producesse un'unica nota insieme? Quale potenza si scatenerebbe?
Vorrei aver ragione.

Vorrei scrivere una nuova storia, un canone inverso e maldestro. Vorrei che Madame mi donasse ancora il suo supporto, la sua musica dolce ed incessante, il ritmo delle sue vene.

Vorrei addormentarmi senza quest'angoscia urgente, che preme la carne e solleva la pelle. Anche se in fondo non saprei fare a meno del suo canto corvino.

Vorrei non volere.

martedì 8 gennaio 2013

15:13

Orbene.
(Ma quant'é bella questa parola? Mi sa che sto diventando un feticista delle parole oltre al resto)
Dicevo, orbene. Sarà anche un pò che non scrivo, per tanti motivi e non ultimo il tempo. Ma il mio peregrinare è continuato in questi mesi, come un ape ho posato le mie terga di fiore in fiore sbirciando in qua e in la. Ho sempre considerato internet un bellissimo luogo tramite il quale comunicare, pieno di possibilità e sempre in evoluzione, e ho comunicato effettivamente molto negli ultimi anni.
Ultimamente mi sembra cambiato qualcosa. Fiumi di parole in continuo aumento, e fin qui ci siamo. Ma quanto di quello che viene detto è poi recepito davvero? Quanto dialogo c'è in tutto questo "parlare"? Ho sempre più la sensazione che sia un dialogo fra sordi, come quello che hai con la vicina sul pianerottolo per intenderci. Almeno della vicina però posso sentire l'odore.
E in più con l'aggravante che non solo non si ascolta e non si cerca di capire cosa uno dice, ma addirittura si usano le parole come scusa a cui attaccarsi per sfogare le proprie frustrazioni con critiche feroci, giudizi sommari e affrettati, condanne, e chi più ne ha più metta.
Non so. Sono indeciso. Forse sono io che sto invecchiando e mi sono rincoglionito. Non riesco a stare più al passo. Oppure davvero c'è più povertà, non tanto di contenuti ma di ascolto forse. Come quattro galline in un pollaio e ognuna grida al suo cantone senza preoccuparsi delle altre se non per (perdonate l'eufemismo) cagargli in testa, o dichiararle un amore smodato.
Invecchiando divento anche più volgare, devo ammetterlo.